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PERUGIA – Rinviato al 17 novembre il processo d’appello bis per la strage di Rigopiano, la tragedia che il 18 gennaio 2017 travolge l’hotel di lusso incastonato tra i monti del Gran Sasso e spezza 29 vite (di cui sei marchigiani Marco Vagnarelli e Paola Tomassini, 44 e 46 anni, di Castignano; Emanuele Bonifazi, 31enne addetto alla reception dell’albergo, originario di Pioraco; Marco Tanda di Castelraimondo; Domenico Di Michelangelo, 41 anni, e la moglie Marina Serraiocco, di Osimo).
I familiari delle vittime si sono seduti in silenzio con addosso magliette bianche su cui spiccano i volti dei loro cari. È il loro modo di chiedere ancora una volta giustizia.
Il nuovo processo arriva dopo la decisione della Corte di Cassazione che, lo scorso 3 dicembre, ha disposto la revisione parziale della sentenza di secondo grado. Alla sbarra dieci imputati: sei funzionari della Regione Abruzzo accusati di disastro colposo e quattro imputati – fra cui l’ex sindaco di Farindola – chiamati a rispondere di omicidio colposo.
Quel giorno La terra trema più volte nell’Aquilano: la prima scossa, di magnitudo 5.1, arriva alle 10.25 e viene seguita da altre tre ancora più forti. Poco prima delle 17, una massa enorme di neve e detriti si stacca dal monte e travolge l’hotel in pochi secondi, spazzando via tutto. Il silenzio cala sulla montagna. Alle 22 una colonna di mezzi tenta di risalire verso l’hotel. Dopo quattro ore di marcia estenuante, raggiungono le macerie e trovano vivi i due superstiti che avevano dato l’allarme. All’alba arrivano gli elicotteri e cominciano le ricerche. La prima vittima viene estratta alle 9.30. La colonna dei soccorsi raggiunge il resort solo a mezzogiorno, dopo venti ore di sforzi ininterrotti. Per giorni, i soccorritori scavano senza sosta, tra neve, detriti e silenzio. L’Italia segue col fiato sospeso ogni piccolo segnale di vita. Ma alla fine il bilancio è drammatico: 29 morti e 11 sopravvissuti.
Oggi, in aula, il dolore si mescola alla richiesta di verità. “Vogliamo solo giustizia per chi non c’è più”, ripetono i familiari. Otto anni dopo, la ferita di Rigopiano è ancora aperta.
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