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ASCOLI - La notizia, questa volta, non sono solo le scritte. La notizia è la voce ferma e dolente di una madre che rompe il silenzio e chiama tutti alle proprie responsabilità. È la sua lettera a diventare il cuore pulsante di una vicenda che, a quasi tre mesi dal primo episodio, continua a far male. Le frasi offensive e sessiste tornate sui muri del liceo delle Scienze umane ‘Trebbiani’ di Ascoli, lunedì scorso, rappresentano l’ennesima ferita inferta alla stessa studentessa già colpita a fine settembre. Ma dietro quei muri imbrattati c’è una famiglia che vive nell’angoscia e una madre che sceglie di trasformare il dolore in parole pubbliche, nette, impossibili da ignorare. “A chi pensa che il bullismo e le parole sessiste siano un gioco: il rispetto non è mai una questione di scelta”, scrive. Non un’accusa urlata, ma un richiamo profondo al senso di umanità. La sua è una lettera che non cerca pietà, bensì consapevolezza. Un messaggio che invita a fermarsi, soprattutto in un periodo simbolico come il Natale, e a porsi una domanda semplice e devastante: come ci si sentirebbe se quelle stesse parole fossero rivolte a propria figlia? La mamma ricorda che le parole non sono mai innocue, che lasciano segni, che costruiscono o distruggono. E soprattutto ribadisce un concetto chiave: ciò che si sceglie di mettere nel mondo racconta chi siamo. È una presa di posizione forte, che va oltre il singolo episodio e diventa una battaglia più ampia contro ogni forma di violenza verbale e di bullismo. Nella sua lettera c’è anche una promessa: “Io non mi fermerò”. Non nel difendere la dignità di sua figlia, né quella di chiunque venga ferito da parole violente. Una promessa che nasce anche dalla preoccupazione crescente per un aspetto inquietante della vicenda: a distanza di mesi, non sono stati ancora individuati i responsabili, né l’autore o gli autori delle scritte. Un’assenza di risposte che pesa come un’ombra e che rischia di alimentare l’idea dell’impunità. La nuova comparsa delle frasi, per di più in una giornata dedicata all’assemblea d’istituto e allo scambio di auguri, rende tutto ancora più amaro. Un momento di comunità trasformato in occasione di umiliazione. In questo contesto, la pagina Facebook “AP Vice City” ha scelto di prendere a cuore la vicenda, contribuendo a tenere alta l’attenzione e a ribadire che non si può far finta di nulla. Perché il silenzio è complice. La lettera di una madre diventa così un atto civile. Un invito a non voltarsi dall’altra parte e a pretendere che chi ha colpito venga individuato. Perché difendere una studentessa significa difendere il rispetto, la scuola e l’intera comunità.
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