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«Non pretendiamo miracoli, ma dopo nove anni continuiamo a sperare che la morte dei nostri cari non venga archiviata come un semplice incidente privo di responsabilità». Con queste parole, affidate all’ANSA, Marcello Martella – segretario del comitato Vittime di Rigopiano e padre di Cecilia, una delle 29 persone uccise dalla valanga che il 18 gennaio 2017 distrusse il resort di Farindola – ha commentato la fase finale del processo in corso davanti alla Corte d’Appello di Perugia. Una tappa cruciale, alla quale le parti civili si presentano sostenendo le richieste formulate dal sostituto procuratore generale Paolo Barlucchi.
Martella ha ricordato il lungo e complesso percorso giudiziario seguito dai familiari: «Da Pescara a L’Aquila, da Roma fino a Perugia, da anni percorriamo l’Italia inseguendo la verità. Abbiamo assistito a sentenze che per noi sono state delle vere beffe, ma non abbiamo mai rinunciato a cercare responsabilità chiare». Ora, con il processo alle battute finali, la speranza è che «dopo quasi un decennio arrivi finalmente un briciolo di giustizia».
Un elemento significativo di questo grado di giudizio è il reinserimento nel processo dei sei funzionari regionali, tornati nel perimetro accusatorio dopo la decisione della Corte di Cassazione dello scorso dicembre. «Il loro rientro è un passaggio fondamentale – ha sottolineato Martella – perché in precedenza erano stati esclusi. È giusto che vengano valutati per il loro operato».
Nella requisitoria conclusiva, il Pg Barlucchi ha richiesto condanne in linea con quelle di primo grado per i due tecnici della Provincia di Pescara, l’ex sindaco di Farindola e un tecnico comunale. Per i sei dipendenti del servizio regionale di Protezione civile dell’Abruzzo, invece, il procuratore generale ha sollecitato una pena di 3 anni e 10 mesi.
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