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CHIETI - Una donna in profondo stato di "inferiorità psichica", in condizione di fragilità aggravata da una “assenza di alternative esistenziali validamente percorribili", costretta a lavorare in un bar 18 ore al giorno, a dormire su un divano nella cucina dello stesso locale e sorvegliata h24 da una telecamera. Il tutto senza contratto di assunzione e senza stipendio, perché la donna risultava amministratore della ditta. E’ la vicenda su cui la procura distrettuale dell’Aquila indaga per il reato di riduzione e mantenimento in schiavitù.

L’indagine scaturisce da approfondimenti dei carabinieri del Nucleo ispettorato del lavoro condotti in un piccolo centro della provincia di Chieti. Il reato viene contestato a una donna di 43 anni, titolare dell’attività commerciale, che avrebbe costruito un sistema di sfruttamento assoluto, metodico, finalizzato a trasformare un rapporto di lavoro in una "condizione analoga alla schiavitù".

L’articolo 600 del codice penale, evocato dagli inquirenti punisce chi approfitta di una situazione di necessità o di inferiorità per imporre prestazioni lavorative in condizioni di sfruttamento assoluto, tali da compromettere la capacità stessa di autodeterminarsi. Il pubblico ministero Roberta D’Avolio, che coordina l’indagine, elenca una serie di condotte che tratteggiano un quadro di soggezione continuativa. 

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