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ANCONA - Nelle ultime settimane, si è tornato a parlare nel settore della pesca del tema delle reti gemelle, un tipo di attrezzo utilizzato da alcune imbarcazioni a strascico che, pur essendo vietato in diversi Paesi europei, continua ad essere oggetto di discussione anche nel nostro mare Adriatico.
“Non si tratta di una questione “per addetti ai lavori” – afferma Angelica Palumbo, referente dei pescatori di Ancona - ma di un argomento che riguarda da vicino tutti noi, cittadini delle Marche, che viviamo in una regione profondamente legata al mare, alla pesca e alla sua economia.
Le reti gemelle – o “twin trawls” – sono due grandi reti trainate contemporaneamente da un’unica imbarcazione, mantenute aperte da un cavo centrale che porta al centro un peso per stabilizzarne la trazione. In questo modo si amplia la superficie di cattura, ma anche la pressione esercitata sul fondale marino. Il risultato, come mostrano diversi pescatori locali, è un impatto visibile e drammatico: dietro le imbarcazioni che utilizzano questo sistema, il mare si presenta torbido e il fondale si trasforma in un deserto di fango.
Le immagini documentano ciò che accade quando un peschereccio tradizionale – che opera nel rispetto delle regole e delle tecniche sostenibili – si trova a pescare dopo il passaggio di una nave con reti gemelle: nel sacco non resta nulla, se non fango e detriti.
Questo non è un attacco a nessuno, ma un invito alla consapevolezza. La sostenibilità del nostro mare dipende anche dalle scelte di oggi: proteggere gli ecosistemi significa salvaguardare il lavoro, le tradizioni e il futuro delle comunità costiere.
Oggi, nel pieno dibattito europeo sulla Blue Economy e sull’innovazione nel settore della pesca, è importante che anche i cittadini conoscano queste dinamiche, per comprendere quanto sia urgente investire in attrezzi di pesca selettivi, meno impattanti e realmente compatibili con la tutela dell’ambiente marino.
Le Marche – conclude Angelica Palumbo - hanno una lunga storia di pesca, fatta di rispetto e di equilibrio tra uomo e mare. È da qui che deve ripartire la riflessione: informare per capire, capire per cambiare”.
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