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ANCONA - Cinque persone di origine pachistana, residenti tra Cupramontana (Ancona) e Cingoli (Macerata), rischiano di finire a processo per intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (caporalato) di una quarantina di connazionali. Hanno tra i 28 e i 46 anni e tra il 2021 e il 2023 avrebbero reclutato manovalanza straniera da far lavorare come braccianti agricoli per la raccolta di verdure e ortaggi attingendola anche dai centri di accoglienza per i richiedenti asilo. Il tutto sottopagandoli: 5-6 euro all’ora per 12 ore al giorno e senza rispettare le norme sulla salute e sulla sicurezza del posto di lavoro. I braccianti avrebbero anche dovuto versare 150 euro al mese per alloggi fatiscenti dove dormivano in precarie condizioni igieniche.
La Procura di Ancona ha chiesto il processo per tutti. Gli imputati sono difesi dagli avvocati Maria Alessandra Tatò e Federica Guarrella e questa mattina dovevano affrontare l’udienza preliminare ma la giudice Francesca De Palma ha rinviato al 3 ottobre per lo sciopero delle camere penali dell’ordine degli avvocati. Stando alle accuse i cinque accusati avevano ciascuno il proprio ruolo. Ci sarebbe stato un capo, titolare della ditta con base a Cupramontana che assumeva la manovalanza per farla lavorare poi nelle aziende agricole della zona e trovare loro alloggio, a Cingoli. Un suo aiutante si sarebbe invece occupato dei turni da far fare ai braccianti e altre tre persone avrebbero gestito i trasporti fino ai campi e avrebbero controllato il lavoro svolto.
Il sodalizio avrebbe monopolizzato il mercato del lavoro agricolo nelle province di Ancona, Macerata e Pesaro Urbino. A scoprire lo sfruttamento è stata un’indagine dei carabinieri dell’ispettorato del lavoro. Hanno messo delle cimici sui furgoni che andavano a prelevare i braccianti. Questo dopo che una pattuglia, nel Pesarese, nel 2021, aveva fermato per controlli un furgone trovando all’interno sette pachistani che avevano dichiarato di essere di ritorno dal lavoro nei campi.
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